Notizie Radicali
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  lunedì 04 aprile 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Ultima chance per Annan, ultima chance per l’ONU

di Alessandro Tapparini

“Il 13 dicembre 1996 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con l’appoggio autorevole degli Stati Uniti, scelse un nuovo segretario generale, il ghanese Kofi Annan. […] Egli aveva trascorso la maggior parte della sua vita lavorativa al servizio dell’ONU, ma era consapevole dei limiti di questa organizzazione e privo dei difetti in essa diffusi. Era invece fermamente deciso a renderne più efficiente e responsabile l’apparato. Ciò era importante di per sé ed essenziale per i miei sforzi per convincere i repubblicani del Congresso a pagare il miliardo e mezzo di dollari di arretrati. Era dal 1995, anno in cui i repubblicani erano andati al potere, che il Congresso subordinava tale pagamento ad una riforma delle Nazioni Unite”.

Così Bill Clinton nella sua recente autobiografia “My Life”.

In questi giorni, riguardare quella polaroid ingiallita mette una certa tristezza.

Nel decennio del suo segretariato, Annan, che l’amministrazione Clinton “candidò” al segretariato in quell’ottica (ponendo il veto alla rielezione del suo predecessore, Boutros Ghali) ha più volte auspicato, invocato e caldeggiato una grande riforma che restituisse all’ONU una ragion d’essere nel mondo post-guerra fredda, trasformandola in un’istituzione capace di interventi umanitari in tempo utile (non a genocidio già consumato, per intenderci), risolvendo l’attuale empasse in cui, per usare un’espressione di Barbara Spinelli, “per agire efficacemente, le democrazie liberali sono obbligate a operare fuori delle Nazioni Unite, promuovendo alleanze provvisorie, malsicure e sempre sospettate di illegalità”.

Ebbene: ad oggi, Annan non ha ottenuto che un nulla di fatto. I suoi ripetuti tentativi di avviare la riforma dell’ONU non hanno sortito alcun effetto concreto.

Il Segretario Generale dell’ONU dura in carica cinque anni: il secondo mandato di Annan (nominato la prima volta alla fine del 1996, e poi riconfermato alla fine del 2001) è ormai in fase terminale, e perciò “pre-elettorale”, giacché scadrà alla fine del 2006.

Se si concluderà con un bilancio fallimentare, non lo si dovrà tanto ai rapporti della Commissione d'inchiesta presieduta da Paul Volcker sugli illeciti nell’ambito dell’operazione “Oil for Food” (che comunque pesano non poco sulla sua immagine, essendo ormai acclarato che il suo giovane figlio Kojo, abbia continuato “sottobanco” ad essere a libro paga della società svizzera Cotecna anche dopo che questa ottenne in appalto dalle Nazioni Unite un – ben retribuito – incarico di “monitorare” il corretto funzionamento dell’operazione… per poi lasciare che Saddam dirottasse miliardi di dollari su programmi di riarmo, su finanziamenti al terrorismo e su bustarelle a politici stranieri; ed essendo altresì emerso che il giorno dopo la istituzione della Commissione, Iqbal Riza, il capo dello staff di Annan recentemente dimessosi, si affrettò a distruggere i documenti di “Oil for Food” relativi al triennio 1997-1999).

Un eventuale fallimento del segretariato Annan si avrà, semmai, se verrà definitivamente mancato il tante volte invocato obiettivo riformatore.


Non dimentichiamo che Annan ha vissuto da protagonista o co-protagonista tutti i più grandi fallimenti dell’ONU degli ultimi 15 anni.

Nel 1994, quale “vice” del segretario generale Boutros Ghali ed incaricato delle operazio­ni di peace-keeping e peace-enforcement, Annan “archi­viò” un fax in cui da Kigali gli ve­niva segnalato dal generale Dallaire, ca­po dei caschi blu in Ruanda, il rischio di un “probabile genocidio” della popolazione tutsi da parte delle milizie hutu. Dallaire chiedeva l’ordine di intervenire e l’invio di rinforzi: altri duemilasettecento uomini, per salvarne un milione. Dal palazzo di vetro seguì il silenzio radio. E quasi un milione di uomini vennero sterminati in un centinaio di giorni.

Nel luglio dell’anno seguente, sempre con Annan come vicesegretario generale, l’ONU giocò la stessa parte nella disastrosa gestione della questione bosniaca, ed in particolare del massacro di Srebrenica: ottomila civili massacrati dalle milizie serbe in quella che avrebbe dovuto essere una “zona protetta” dai caschi blu, i quali invece stettero a guardare senza muovere un dito.

E lo stesso errore-orrore si ripeté nel 1999, quando Annan era segretario generale e gli abi­tanti di Timor Est andarono a votare per l’indipendenza dal­l’Indonesia dopo l’ultratrentennale dittatura indonesiana di Suharto, confidando invano nella promessa protezione dei caschi blu. Richiesto di inviare i soldati dell’ONU già prima del voto per meglio garantirne il rispetto del risultato, Annan dichiarò che non si sarebbe mosso senza l’autorizzazione delle autorità indonesiane. Le milizie filoindonesiane, come previsto, si ribellarono al responso delle urne (il 78,5% dei timoresi aveva scelto l’indipendenza), e i caschi blu giunsero in forze a Timor, peraltro solo su pressione australiana e portoghese, quando ormai i massacri erano in atto.


In queste settimane (a partire dallo scorso 11 marzo, durante la conferenza stampa che ha chiuso la Conferenza internazionale di Madrid su “democrazia e terrorismo”) Annan ha rispolverato per l’ennesima volta la “proposta di riforma”. Ha fatto presentare ad un comitato di saggi guidato da un ex primo ministro thailandese un corposo documento di studi e proposte sul tema, inclusa la bozza di un trattato internazionale contro il terrorismo.

Il punto cruciale è l’alternativa fra un aumento del numero dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, e l’aggiunta di seggi biennali non rinnovabili.

Le reazioni cominciano a coagularsi, e i paesi europei, al solito, si presentano disuniti: la Germania fa gruppo con Giappone, India e Brasile nel sostenere la prima soluzione; l’Italia, favorevole alla seconda, si è fatta promotrice, assieme alla Spagna e ad importanti paesi mediorientali, di una soluzione compromissoria esposta nel documento "Uniting for Consensus".


Nei prossimi mesi assisteremo alla partita finale.

Se si trattasse solo dell’ultima chance di sopravvivenza per la carriera di Annan, ce ne importerebbe davvero poco.

Ma trattandosi di una delle ultime chance di sopravvivenza per le stesse Nazioni Unite, la questione è assai più delicata.

Se anche l’estremo tentativo non dovesse riuscire, sarà quanto meno il caso di affidare la pratica ad un curatore più attendibile.